E alla fine, dopo aver letto conversazioni di ogni sorta, eccomi a chiacchierare con ChatGPT. Di vino, ovviamente. È stata una conversazione interessante: in un caso mi ha stupito, in altri ha fatto esattamente quello che mi aspettavo avrebbe fatto, in generale si è comportato come un medio, per non dire mediocre, sito di informazione sui vini e sulle tecniche di vinificazione, raccattando qualche informazione qua e là, il minimo sindacale per cavarsela in modo onorevole a una cena di non esperti.
Iniziamo però dal caso in cui ha fallito miseramente, quello che per ora mi fa dire, ai giornalisti del settore, ai divulgatori, ai wine writer preoccupati di essere presto sostituiti da un Bot: “magna tranquillo”. La domanda non poteva che essere quella relativa al Barolo del 1972. Come molti sanno, a causa di un’annata incredibilmente fredda e piovosa, soprattutto in estate e in autunno (dicono, la più fredda dal 1912), i produttori decisero di declassare le uve prodotte nei comuni del disciplinare del Barolo. Praticamente, il contrario di quello che sta succedendo ora, con il caldo e la siccità. Per questo, nei siti che elencano le annate, generalmente trovate un buco in corrispondenza del 1972. Per questo io, ovviamente nata nel 1972, rosico da quando l’ho scoperto. Nata nell’anno in cui nemmeno hanno fatto il Barolo. Ma se vi pare.
Sull’annata fredda e piovosa ci siamo. Sul fatto che sia considerato “uno dei migliori”, direi di no, è vero il contrario. Cito dal sito Langhe.net:
1972 Annata pessima. I produttori, riuniti in seduta nel Castello di Grinzane Cavour, hanno deciso volontariamente di rinunciare a tale millesimo, non ritenendolo adatto per l’invecchiamento e la maturazione migliorativa (riferimento regolamento Cee n. 817770 e n. 1697/70).
Cominciamo male. Sono andata avanti a investigare, argomentando che forse non aveva le informazioni corrette e che non era proprio andata così, ma non c’è stato verso di smuoverlo. Sul resto, siamo sulla sufficienza: diciamo che offre le informazioni di base, le curiosità che tormentano di fronte alla carta dei vini o quando si legge un’etichetta. Ad esempio:
Dimostra di conoscere anche i classici “forse non tutti sanno che” dell’esame da sommelier. A parte l’incertezza sull’etimologia, visto che io ho sempre saputo derivi dal pugliese per “somarello”, visto che il vitigno in questione ha una produzione talmente ricca o da “caricarsi come un somarello” o da “poterci caricare un somarello”. E a parte anche l’incasellare Brindisi nel Salento, non credo tutti i pugliesi sarebbero d’accordo. Vabbè.
Abbastanza bene anche sulla teoria della degustazione, dai:
Soprattutto, mi ha stupito in questa degustazione: obiettivamente, ci sta. Leggevo e mi sembrava di averlo nel calice.
ChatGPT dimostra poi di saperne di più di certi produttori o uffici stampa, che durante il lockdown organizzavano degustazioni virtuali senza mandare il vino, e noi lì perplessi a fissare uno schermo dove altri bevevano, che è un po’ come il tragico “Vieni, che ti porto a vedere mangiare il gelato” detto ai bambini del dopoguerra:
Divertenti – nel senso di democristiane o, se fa troppo boomer che peraltro non sono, cerchiobottiste (pure questo fa boomer: al momento non ho altri sinonimi), le risposte al maschilismo nel mondo del vino. Non mi aspettavo niente di diverso, ma avendo dedicato il mio ultimo libro al ruolo delle donne nel mondo del vino, non potevo esimermi.
E in effetti, che il linguaggio usato per parlare di vino non sia affatto inclusivo ce ne dà prova l’AI stessa che, come molti che hanno fatto questo giochino prima di me hanno già notato, è intrisa di stereotipi e di maschile sovraesteso. In questo, è uno specchio perfetto della società anzi: è più indietro. Infatti, nella risposta alla domanda “chi fa il vino” sono contemplati solo soggetti maschili. Una bella sfida per la produttrice siciliana Marilena Barbera che anni fa portò avanti una battaglia per poter scrivere “viticoltrice” sulle etichette al posto di “viticoltore”.
Qui invece stava andando quasi bene, e poi mi va a scivolare nel “vino dolce”. Per fortuna non ha parlato anche di rosé.
Poi, già che ero in vena di polemica, ho chiesto se il vino fa male. Risposta: sì ma no. Decisamente, questa risposta non gliel’ha scritta Antonella Viola.
Per finire con l’uso di un aggettivo che ha rotto più amicizie tra degustatori, wine writer e sommelier del Tavernello fatto degustare alla cieca (se vogliamo dividere qui le nostre strade, sappiate che io sono d’accordo con l’AI)
Ho finito con un po’ di cazzeggio. Francamente, mi spiace davvero che non possa degustare nulla. Ma facciamo che quando ho domande sul mondo del vino, le risposte per il momento le cerco altrove.
Ma ne hanno già parlato altri!
Eccome. Due esempi.
Qui una – notevole – chat su Intravino a proposito di vini naturali.
Qui un – piuttosto incomprensibile – pezzo su Ansa sul “sommelier personale creato grazie all’intelligenza artificiale“.