Di ritorno da Vinitaly, un’edizione che mi è sembrata ricca e affollata (pure troppo: domenica non si camminava!). Come tutti gli anni, ho cercato di fare due cose: formarmi e continuare a studiare, dato che l’offerta di Masterclass del Vinitaly è davvero notevole, salutare gli amici e capire di più di quello che berremo. E quest’anno ho portato con me anche la bellissima Guida Vino&Finanza alla quale ho collaborato. Volete investire in fine wines? Se l’avete persa in edicola, la trovate qui in versione ebook.
Qui però mi concentro su quello che è il mio campo: la comunicazione. Da tempo penso che la comunicazione del vino debba trovare nuovi modi per avvicinarsi agli appassionati che non vogliono necessariamente sapere tutto della malolattica, né sopportare tre ore di sproloqui (e di slide inguardabili) da un relatore pieno di sé che ama tanto ascoltarsi, prima di poter avvicinare le labbra al bicchiere. Servono modalità nuove, adatte anche a un pubblico giovane – e attenzione, non sto parlando di social media e nemmeno di TikTok, che meritano un discorso a parte, ma di degustazioni classiche in presenza, dove a volte se non ci tenessimo tanto a degustare proprio quel vino, vorremmo fuggire precipitosamente. Un esempio di arte oratoria e competenza, con quell’autoironia e quel leggero non prendersi troppo sul serio – ehi, non stiamo operando a cuore aperto, stiamo degustando vino! è Armando Castagno, che da sempre usa anche la sua competenza in storia dell’arte per creare percorsi gustativi affascinanti e ricchi di informazioni diverse. Dopo questo Vinitaly, ecco chi seguirò ovunque e consiglio di seguire. In comune hanno la grandissima preparazione, la contaminazione fra settori diversi che aggiunge interesse ai loro percorsi tra i vini (non per niente la cross-pollination è uno dei valori centrali del mio Vino, Donne e Leadership), l’ottima oratoria in più lingue e l’empatia con il pubblico. Le differenze, invece, sono moltissime, come nei colori dei calici in alto, tutte le sfumature del vino: personalità, stile, background, settore di provenienza. Quattro stili molto diversi, uniformati da passione e competenza. E quello che più mi piace è trovare i valori di base comuni in professionisti così diversi.
Sarah Heller: arte e sinestesie
Master of Wine preparatissima, ma anche esperta d’arte con una laurea a Yale, Sarah Heller ha una grande serietà e compostezza durante la degustazione: il calore e l’empatia traspaiono però dalla sua grande passione per l’arte e dallo studio continuo alla ricerca di nuove modalità per raccontare il vino facendo leva su sensazioni e sinestesie. E lo può fare in inglese, cinese, tedesco, italiano e pure un po’ in coreano e spagnolo: quando per comunicare, si studia, succede così. L’avevo già seguita lo scorso anno con un bellissimo evento sullo Champagne. A Vinitaly 2023 ha fatto una splendida degustazione “tradizionale” di Supertuscan riuscendo, nonostante il tempo limitato, a dire qualcosa di interessante e originale per ogni vino. Soprattutto ha presentato il suo ultimo progetto, Visual Tasting Notes. Una serie di dipinti, disegni, opere d’arte digitali che catturano su tela, con il colore, la forma, la densità della tinta, la vera essenza di un vino. Lo trovo bellissimo e geniale, in primis perché adoro le sinestesie, ma anche perché permette di superare la distanza della comunicazione social e digitale e far comprendere davvero un calice anche da remoto. Le sue opere potete vederle qui, mentre l’opera nella foto cattura l’essenza di un Biondi Santi Brunello Riserva 1971.
Gabriele Gorelli: gentilezza e creatività
Chiunque pensi che “gentilezza” sia riduttivo per definire il primo Master of Wine italiano è fuori strada. La competenza, l’immagine impeccabile, la padronanza delle lingue straniere non si discutono. Ma la sua gentilezza sincera nel rapportarsi alle persone, le risposte a ogni domanda, il suo atteggiamento mai saputo, mai arrogante, sono una rarità in questo mondo e a i suoi livelli, e per questo sono valuta pregiata. Per quanto riguarda creatività e originalità: “a far sempre le stesse cose, sono il primo che si annoia”, mi ha detto. E infatti le due degustazioni che ha preparato e che ho seguito presupponevano un pensiero, una preparazione, uno studio che si apprezza e si comprende quando lo si ascolta. Una challenge di 10 anni, 2008 vs 2018 sul Brunello, vino con il quale gioca in casa, e un geniale excursus sull’identità dei bianchi italiani, dal Friuli alla Sardegna, lavorando su stili di vinificazione, vitigni, regioni, per arrivare a reinventare l’immagine, ancora troppo limitata a livello internazionale, dei nostri vini bianchi. Il tutto con il sorriso e trasmettendo una passione lampante, sincera.
Severine Frérson: classe e coraggio
Forse parlando della chef de cave di Perrier-Jouët (o dovrei scrivere cheffe?) non sono obiettiva. Perché è stata tra le prime che ho intervistato per un articolo sulla grande scalata delle donne ai gradini più alti delle cantine in Champagne, articolo che è stato il seme per il mio libro. Ma anche a voler essere molto obiettivi, è impossibile non citarla come grande comunicatrice. A Vinitaly, durante una serata organizzata da Antinori, ha condotto una Masterclass tecnica sul cambiamento climatico, proponendo le cuvée di Belle Epoque non per annata, ma per data di vendemmia. Dall’ultima che è stata vendemmiata a ottobre, quella del 2013, a quelle raccolte tradizionalmente a settembre, fino a quelle d’agosto, data che sembrerebbe diventare la norma per fronteggiare estati sempre più calde. Ho trovato molto coraggioso e sincero il parlare con chiarezza e competenza dell’elefante nella stanza, quello che terrorizza tutti i produttori e fa chiedere: “Che vino berremo?” e condividere le strategie per continuare ad avere ottimi vini in una situazione climatica che muta molto velocemente. L’agricoltura rigenerativa, che ha cambiato il panorama delle vigne facendole diventare prati fioriti; le vendemmie anticipate; il probabile abbassamento dei dosaggi. Séverine Frerson racconta, risponde all’infinito a tutte le domande senza un cenno di stanchezza, spiega e rispiega, il tutto con una classe innata, superiore, posso dire: francese?
Cristina Mercuri: charme e interazione
Non avevo mai ascoltato dal vivo Cristina Mercuri, che dovrebbe diventare presto la prima Master of Wine italiana donna (il condizionale è d’obbligo solo per scaramanzia). Ne sono rimasta affascinata e non solo perché è bella (posso dire che una persona è bella? Per par condicio, anche Gorelli è innegabilmente bello e ovviamente un certo standing, nel public speaking, non è richiesto, ma non danneggia). Mercuri ha un modo delizioso e leggero di interagire con il pubblico, non lo molla, lo pungola, lo sollecita, chiede opinioni, è lontanissima dal relatore in cattedra che fa calare sul pubblico il verbo rivelato, con l’attitudine del Marchese del Grillo. Condivide il molto che sa con la voglia genuina di divulgare, sempre mantenendo un modo giocoso e divertente. E se si impara con il sorriso, si impara meglio. Con lei ho attraversato mondi enologici diversi nella bella degustazione New Trends – Wine to the moon and back organizzata con l’Associazione Nazionale delle Donne del Vino di cui faccio orgogliosamente parte – e che quest’anno a Vinitaly è stata eccezionale per presenza e quanti di eventi creati. Ho degustato vini prodotti da donne in tutto il mondo, molti per me completamente nuovi e attenzione: assaggiando due Vermentino, uno tappato con il sughero e l’altro con il tappo a vite, ho ribaltato le mie convinzioni sullo screw cap. Non è poco.
Simone Roveda: la forza dell’understatement
Simone, fresco diplomato Wset e uno dei 40 Under 40 Wine Industry Leader, lo conosco da parecchio. Ne ho seguito tutta l’ottima carriera di comunicazione social di vino iniziata nei famosi tempi non sospetti, quando in Italia molte aziende nemmeno sapevano cosa fosse Instagram. Anche lui – non è un caso – arriva da esperienze lavorative diverse ed è stato folgorato dal vino in età adulta, deviando da un binario che lo aveva visto laurearsi in ingegneria informatica. Non sono riuscita a seguire la sua Masterclass a Vinitaly ma l’ho visto recentemente in azione come ospite con i miei studenti del Master in Comunicazione per l’enologia e il territorio alla cattolica di Brescia e ha la “forza tranquilla” di un vecchio slogan politico francese. Parla poco, con calma, dice cose puntuali, precise, senza inutili rumori di fondo. Si mette naturalmente in sintonia con la sua audience senza fare quell’inutile circo che spesso si vede nei tasting, è generoso nel condividere la sua esperienza, i suggerimenti, i consigli. E mette in tutto ciò che fa la stessa cura per il dettaglio, la stessa attenzione che si ritrova nelle foto che scatta per l’account Instagram Winerylovers. Nessuna approssimazione, molta sostanza.