Poco più di un anno fa mi sedevo per la prima volta nei banchi dell’Associazione Italiana Sommelier. Oggi festeggio una settimana da sommelier professionale diplomata. Se avete una mezza idea di provare anche voi, qui trovate il racconto dell’esame e anche le domande più comuni che potrebbero capitare.
Un anno denso, intenso, che mi ha aperto nuove prospettive e soprattutto un nuovo modo di assaggiare, provare, degustare: senza fretta, cercando di capire il vino e il cibo prima di deglutirli senza neanche pensare alle sensazioni che portano. Il che nella mia vita più compulsiva che riflessiva è già una piccola rivoluzione positiva.
Rileggendo quello che scrivevo un anno fa posso dire che sì, è tutto vero. È faticoso; ci vuole un impegno costante, bisogna investire tempo e soldi ma sì, se è una cosa che vuoi fare, prima o poi la farai, per una volta senza trovare alibi, scuse, giustificazioni. Anche rimetterti a studiare sul serio a 40 e passa anni, chiuderti in casa per otto ore al giorno, fare gli schemi e i riassunti con carta e penna e vedere che no, la memoria non ti ha abbandonato e neppure il metodo di studio. Per cui, un anno dopo, ecco cosa ho imparato. Perché quando si impara, è sempre bello condividere.
Sei studi in un modo (e funziona) va bene così
Tutta la vita a procrastinare e a fare poi tutto (bene. In tempo) all’ultimo. Tutta la vita a provare a cambiare, a seguire metodi e tecniche altrui, dicendomi che questa volta no, questa volta farò tutto con calma, suddividendo gli impegni, passo dopo passo. Sapete cosa c’è? Che invece va bene così. Se il mio modo di fare le cose è quello che mi viene naturale e ha sempre portato risultati, non vedo perché dovrei cambiarlo adesso. Se do il massimo solo quando sono sotto pressione, è perfetto. Forse crescere (invecchiare?) significa anche smetterla di provare a cambiare, quando ciò che fai e come lo fai, anche se in modo irrazionale e sicuramente faticoso, funziona. D’altronde Einstein diceva:
Insanity: doing the same thing over and over again and expecting different results.
Ma se i risultati che hai ottenuto finora ti soddisfano, non vedo perché cambiare.
Il cervello non invecchia (troppo)
Leggo molto, mi aggiorno per il mio lavoro, ogni due o tre mesi seguo un Mooc, in qualche modo imparo qualcosa di nuovo tutti i giorni. Ma lo studio propriamente detto l’ho terminato con la laurea (1997) e con un successivo sussulto per l’esame da giornalista professionista (2004). Lo dico per tutti voi che state pensando: ricominciare a studiare è impossibile. Non è vero. È successo esattamente come quando ho iniziato a correre (ma a studiare faccio molta meno fatica. Perché probabilmente mi piace di più). In qualche modo, i miei muscoli, da troppo a riposo, hanno ritrovato memoria di movimenti e sforzo. E ugualmente, appena mi sono seduta davanti a un libro, le mie mani e la mia testa hanno fatto quello che sapevano. Assimilare il contenuto, riassumerlo, ridurlo in schemi, parole chiave, grafici per memorizzarlo. È stato un bell’esercizio e una bella soddisfazione. Quando guardo i tre tomi del corso completo e penso che ho vinto io, sono certa che ormai nulla mi sia precluso.
Tutto serve
Dice: e ora che sei sommelier? A parte la soddisfazione. A parte che introdurrò presto le nuove competenze nel mio lavoro: giornalismo, più social media, più vino: sono certa ci siano praterie di nuove collaborazioni per me, e se non è così, arriveranno. A parte tutto. Ho imparato, come dicevo sopra, a riflettere prima di bere o mangiare. Non tanto per fare la scena della degustazione, che chissenefrega. Proprio per capire cosa ho nel piatto o nel bicchiere, per ragionare sui gusti e sull’armonia di un abbinamento. Poi ho ripassato la geografia. Ho sognato la mia adorata Francia per pagine intere. Ho scoperto l’influsso del clima. L’importanza del terreno. Ho capito che tutto conta e tutto ha un posto esatto. Ho sfatato mille falsi miti. Ho dato un significato a nomi e processi che prima, come tanti altri, ripetevo a pappagallo tanto per fare. Ho studiato i vini del nuovo mondo e mi è venuta una gran voglia di andare a vedere le vigne del Cile, ad esempio. Ma anche di capire che vino stanno facendo in Giappone. Una cosa che ancora non ho imparato? A stappare il vino con eleganza. Sono un disastro: ambidestra, cambio mano a seconda del momento, giro nel verso sbagliato, non taglio bene la capsula, faccio uno sforzo immane. Gli esami non finiscono mai.
Le parole sono importanti
Infine, la riflessione più importante, quella sulle parole, pensando anche alla due giorni di Parole Ostili che si sta avvicinando. Scrivo da sempre. Mi occupo, genericamente, di ‘contenuti’ scritti da sempre. La parola non può che essere per me lo strumento principale di comprensione del mondo, di espressione, di comunicazione.
Ecco, ho imparato a dare le parole un nuovo valore.
Perché quando compili la scheda di degustazione AIS, le parole sono quelle e solo quelle. Ci sono 116 termini da imparare a memoria e da usare per descrivere ogni vino, dal colore fino all’armonia complessiva, dal Lambrusco allo Champagne. Non puoi inventare, non puoi creare. Perché ci vuole un terreno comune per comprendersi; un codice, un vocabolario. Che, certo, dipende molto anche dall’esperienza di chi degusta: per me che sono diplomata da una settimana, ‘sapido’ vuol dire una cosa; chi ha degustato migliaia di vini nella vita ha un metro di giudizio diverso, perché probabilmente ha assaggiato vini ben più ‘sapidi’ di quello che io definisco tale. Ma almeno si parte da un terreno comune.
Ecco, questa è stata la parte più difficile. Perché io adoro parlare e scrivere di vino (e di cibo) ma mi piace farlo nel modo più libero e fantasioso possibile (no, non necessariamente tirando in ballo improbabili sentori di pelliccia bagnata o di litchi non troppo maturo: però l’altra sera a una degustazione ho definito uno spumante che prometteva molto al naso e non manteneva nulla al gusto “come un bacio senza lingua”, ecco). Ho imparato a fare due, tre, dieci passi indietro e a padroneggiare la tecnica, prima di lasciarmi andare a voli pindarici. In un periodo storico in cui le parole si usano con troppa leggerezza, non è un risultato da poco e forse, si applicasse anche ad altri settori, potrebbe essere utile.
Qui il racconto dell’esame per diventare sommelier e le domande più frequenti.