Mio padre e mia madre giovani, o forse solo più giovani, piano americano davanti a Notre-Dame. Mia madre più mora, più riccia, che si appoggia a mio padre in un raro momento pubblico di intimità coniugale, la sigaretta in mano come sempre, nell’altra la cartina, che Google Maps non c’era e appeso al polso l’ombrello, che era pur sempre novembre. La foto ingrandita e appesa in uno di quei rettangoli di vetro senza cornice, quattro morse metalliche a serrare foto e vetro, dietro a una lampada della sala. La mia amica anni dopo che avrebbe detto, che bella quella foto, peccato tua madre con quella sigaretta. Quella foto restata anni in quel posto, tanto da fare l’alone sul muro intorno al suo profilo, poi impacchettata e sparita chissà dove nell’ultimo trasloco. Mio padre, i baffi rossicci – era un momento baffo- lo sguardo azzurro ironico, l’imbarazzo come sempre nelle foto, la postura rigida, impacchettato e sparito anche lui chissà dove. Io dietro alla macchina fotografica che scatto, 16 anni, la prima volta a Parigi, un viaggio epocale per la nostra famiglia, tra l’adolescenza e lo stupore di quella città che si animava finalmente sotto ai miei piedi. Un viaggio, uno dei primi, forse il primo di un’epoca in cui le vacanze erano al mare, quaranta chilometri da casa. Un’avventura di treni notturni e cuccette e franchi da cambiare e da calcolare per ogni acquisto, di cui ricordo ogni momento, vivido e tagliente e colorato come se fosse accaduto ieri, non come tutti i ricordi di tanti anni dopo, melmosi e impastati, che anno era? Dove eravamo?
Quella foto che chissà dov’è finita ma siccome arriva da un’epoca in cui le foto erano poche e preziose, stampate su carta “solo quelle venute bene, mi raccomando, non mi faccia spendere soldi inutili per quelle sfocate”, la ricordo ancora nei dettagli, nei colori un po’ spenti, nel cielo grigionero.
Qualche anno dopo io, con un cappello di lana rosa appena comprato in una bancarella perché mi sembrava facesse così parigina, gli occhi spalancati e curiosi e dietro Notre-Dame, davanti un weekend di ostriche e scemenze provinciali e Sacre-Coeur e Notre-Dame appunto e l’outlet di Kookaï e le marché aux puces, scemenze provinciali di quando vai a Parigi per le ventesima volta, ma sei ancora a ostriche e scemenze provinciali.
E ancora anni dopo con mia figlia, di ritorno da Eurodisney, erano pochi anni fa ma è come se fossero passate due vite, lei quasi non ricorda, a malapena, sforzandosi, mischiando i suoi vaghi frammenti ai miei racconti, “Sì, mamma, sì, mi ricordo, la cattedrale”, e tu non saprai mai cosa ricorda e con cosa invece ti compiace, ti carezza. E intanto pensi, ti ci riporto, appena riesco, ti ci porto di nuovo e allora te la ricorderai.
Questa notte sta bruciando Notre-Dame, c’è chi dice che non ne rimarrà più niente, c’è chi dice che la ricostruiranno come fosse la Tour Eiffel di Lego che abbiamo in cucina, io nel mio momento di disperazione, sopraffatta dallo sgomento, non faccio altro che piangere e pensare che se è un segno, una di quelle cose apocalittiche da anno mille, per noi tutti, in questo momento, non ce ne poteva essere di peggiori.