Viste dall’auto che ci sta portando a Castel Monastero le colline nei dintorni di Siena, in questa giornata di ottobre, sono da manuale; viti che rosseggiano, bruma indistinta. Però, nonostante la calma bucolica, un po’ d’ansia per l’intervista a Gordon Ramsay c’è. Perché incontrare uno chef pluristellato, di fama mondiale, stella della tv eccetera non è semplice. In più sono sua grande fan, e le interviste da groupie non vengono mai bene. Poi perché ho fatto la splendida e ho detto, no, l’interprete non mi serve, e ora sono qui a pensare se capirò qualcosa dato il suo accento non proprio da Bbc. E infine per il suo caratteraccio, noto a tutti: mi chiedo di che umore sarà. Ottimo, mi rispondo, vedendo arrivare per lo show cooking; sorriso smagliante, abbigliamento e ciuffo da rockstar, in pochi minuti è dietro ai fornelli, pieno di entusiasmo. Prepara un arrosto di vitello, ratatouille di verdure, tortellini impastati a mano ripieni di ricotta “rinfrescata” con succo di limone, conditi con un veloce sughetto di pomodori appena scottati. È rapidissimo, i gesti sono sicuri e precisi; soprattutto, si vede che ai fornelli si diverte ancora (qui le mie foto dello show cooking).
E le donne, chiaramente, lo adorano: giornaliste e foodies in prima fila non perdono un gesto, nonostante la presenza in sala della moglie, che gentilmente declina la richiesta di Gordon di “farci una bella cheesecake”. Non ha ancora terminato il primo che ho già segnato due mantra da ricordare: “The secret is simplicity” e “Flavour first, presentation second”: boccata d’aria fresca in tempi di cucina destrutturata, liofilizzata, quasi surreale. Quando lo raggiungo per l’intervista è ancora di ottimo umore; finiremo a ridere e a mostrarci le foto dei figli sui rispettivi telefonini.
Sono rimasta molto colpita dall’entusiasmo, dall’energia che ha messo nella cooking class. Nonostante una carriera strepitosa, non è ancora stanco? Non si annoia mai?
Assolutamente no! Il mio non è un lavoro, è un passione e sarà così per sempre. Vivo in un sogno; come potrei essere stanco? Sono nato in Scozia, in una famiglia lontana anni luce dal mondo in cui vivo ora. Ho lavorato molto per ottenere tutto questo, ora che i miei desideri si sono avverati, come potrei annoiarmi?
Mentre cucinava, ha citato più volte i trucchi appresi da sua madre. Il suo ricordo, e quello dei sapori dell’infanzia, l’hanno ispirata nel suo lavoro?
Sì, moltissimo. Mia mamma lavorava come cuoca in un ristorante di Stratford Upon Avon. Nei weekend, andavo a pescare sul fiume Avon e poi passavo a prenderla per tornare a casa insieme. E restavo a guardarla mentre preparava pietanze o sceglieva i cibi. Ho imparato molto da lei; quando ci penso, ricordo una donna che ha sempre lavorato moltissimo. Eravamo quattro figli, non c’erano molti soldi: necessariamente ci si arrangiava con piatti sostanziosi ma semplici. Il sapore che non dimenticherò mai? La sua zuppa d’orzo arricchita con dadini di prosciutto. Ne faceva una pentola enorme e durava tutto il weekend. E a volte, quando ero stato fortunato, cucinava anche i pesci che avevo preso!
Da poco meno di un anno ha scelto di collaborare con il ristorante del resort Castel Monastero: evidentemente ama la cucina italiana
Sì, l’Italia è una delle mie mete preferite. Ho avuto la fortuna, a soli 22 anni, di lavorare in Francia e poi in Sardegna e Sicilia. I sapori mediterranei mi appassionano. E questo posto, nel cuore della Toscana, è meraviglioso perché senza tempo; ti da l’impressione che sia esistito e sempre esisterà. Per me è una splendida opportunità. Anche per sperimentare con materie prime locali, freschissime. Qui non esistono gusti omologati, puoi ancora trovare i piccoli produttori locali che ti portano carne eccellente e verdure rigorosamente di stagione, insieme a vino e olio d’oliva prodotti a pochi chilometri. Un paradiso, per uno chef.
A proposito di benessere, lei come fa a mantenere questa energia?
Semplice: non mi drogo, perché la mia droga è la perfezione del mio lavoro. Faccio sport tre volte alla settimana e soprattutto non fumo: fumare, per uno chef, sarebbe come giocare a golf con una benda sugli occhi. E poi sono sempre sotto i riflettori: devo essere un esempio per chi lavora con me e anche per il pubblico.
Oltre all’Italia, ci sono paesi che la affascinano dal punto di vista del cibo?
Sono stato recentemente in Vietnam e Cambogia e sono rimasto folgorato. Lì non usano latticini e il frigorifero è un lusso, non un’abitudine; per questo comprano cibo fresco tutti i giorni, anche due volte al giorno: frutta e verdura sono fantastiche. I loro piatti sono deliziosi ma genuini e umili, in qualche modo ancora vergini, non contaminati dalla cucina-spettacolo. Credo ci sia molto da imparare.
Lei a casa cucina? Magari insieme ai suoi figli?
(prima di rispondere, si fa passare il cellulare dalla sua assistente e mi mostra le foto dei figli. Megan, 12 anni, i gemelli Jack e Holly “nati nella notte del Millenium Eve, tra il 1999 e il 2000” e Matilda, del 2002. Io ricambio con le foto della mia. Combiniamo un incontro tra le e Jack, “al più presto!”). Amano molto il cibo e non saltano mai un pranzo. Hanno ottime maniere a tavola e sono grandi sportivi. La piccola principessa è Holly; quando siamo stati Hollywood, ha detto che l’hanno chiamata così in suo onore! Con loro cucino, certo, e ci divertiamo molto. Il ristorante di Chelsea nel weekend è chiuso, proprio per dedicarmi alla famiglia. Tornando a mia madre, non ci permetteva di sprecare il cibo o lasciare qualcosa nel piatto; anche se noi siamo dei privilegiati, sto educando i miei figli allo stesso modo: non accetto il “non mi piace”. E poi, per lo scorso Natale, anziché la Playstation hanno ricevuto in regalo la macchina per fare la pasta.
Ed erano contenti?
Ah, come no: felicissimi! (ride)
Qualcuno di loro seguirà le sue orme?
Come ho detto, amano molto il cibo, sono curiosi, sperimentano volentieri; ma non voglio forzarli. Se vorranno diventare chef, dovranno fare la gavetta e studiare, ma non con me. In ogni caso, qualunque professione sceglieranno, farò in modo che sappiano preparare un’eccellente carbonara, anche solo per loro stessi. Cucinare è volersi bene.
Ultima domanda, doverosa; con tutto quello che ha raggiunto si sente felice? Appagato? O c’è ancora qualcosa che sta cercando?
Felice sì, appagato mai. Cerco di mantenere sempre viva la mia passione per il cibo; sono sempre in giro, vivo più sugli aerei che a Londra, a casa mia. E soprattutto cerco di non fare tutto questo per i soldi. Nessuno sceglie di diventare chef per denaro; dietro devono esserci cuore e passione. Anche se, confesso: sono elettrizzato al pensiero di guidare la mia nuova Ferrari, che arriverà a giorni. (E giù una risata).
Mia intervista pubblicata su Grazia, novembre 2010
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